Tribunale di Vicenza sez. Lavoro, Sentenza n. 258/2013 dell’08/10/2013
Possono i famigliari pretendere il risarcimento dei danni nei confronti di un imprenditore, nonostante questi in sede penale sia già stato integralmente assolto da ogni colpa?
Sì, perché le due azioni hanno presupposti e tempi differenti e sono regolate da principi diversi. Il Giudice del Lavoro è competente solo se vi siano rivendicazioni di crediti lavoro da parte dei familiari che agiscono come eredi.
I parenti di un giovane deceduto sul lavoro hanno convenuto in giudizio la società datrice per ottenere la condanna della stessa al risarcimento del danno morale o più esattamente non patrimoniale per lesione del legame parentale. Il lavoratore, inquadrato come apprendista, al termine del turno
di notte in cui era rimasto il solo addetto in tutto lo stabilimento veniva trovato morto sul posto di lavoro, all’interno dell’area di manovra di un robot che avrebbe dovuto essere inaccessibile con il macchinario in movimento. L’autopsia subito effettuata aveva ritenuto l’asfissia quale causa del decesso.
Nel processo penale tenutosi in precedenza e conclusosi nel 2010 il legale rappresentante della società datrice era andato assolto con formula piena, non essendo state riscontrate lesioni traumatiche tali da causare il decesso e propendendo piuttosto il decesso causato da attacco asmatico. Tale sentenza, comunque impugnata dal PM avanti la Corte d’Appello di Venezia, non ha impedito di rivendicare il risarcimento del danno poiché opportunamente con i congiunti si era scelto di non costituirci parti civili nel procedimento penale e radicare per tempo una autonoma causa di lavoro.
Il Giudice del Lavoro ha accolto la prospettazione dei famigliari secondo cui la morte del lavoratore è dovuta a colpa della datrice che da un lato aveva lasciato solo il lavoratore durante il turno di notte e dall’altro aveva manomesso il dispositivo di sicurezza che doveva impedire a chiunque l’accesso all’area robotizzata durante il movimento del braccio meccanico. Nonostante la difficoltà data dalla mancanza di prove testimoniali, tali condotte sono state ritenute fonte di responsabilità per il datore sulla scorta dei tempestivi accertamenti effettuati dallo Spisal.
Va detto che l’esito diametralmente opposto cui è pervenuta la causa di lavoro rispetto a quanto deciso in sede penale è dovuta anche alle differenze nelle regole processuali tra i due tipi di giudizio. Il Giudice del Lavoro ha fatto riferimento a quella giurisprudenza (anche di Cassazione) secondo la quale per accertare il nesso causa-effetto tra l’ambiente di lavoro nocivo e la lesione del bene della vita e alla salute non occorre provare tutti gli anelli della catena che ha portato alla causazione del danno, ma “è sufficiente che il lavoratore dimostri il nesso eziologico tra un fattore dotato di potenzialità di danno e quest’ultimo” Inoltre, ai fini della responsabilità civile non è necessaria una dimostrazione oltre ogni ragionevole dubbio come in materia penale bensì “basta che tale nesso sussista secondo un gradiente di maggiore probabilità assoluta, vale a dire nel 50% più uno dei casi (c.d. criterio del più probabile che non)”. Infine ha affermato che ”specie con riferimento ai beni giuridici di rango apicale, qual è sicuramente la vita umana, è sufficiente appurare che il fattore indiziato di averlo cagionato l’abbia anche soltanto anticipato, dispiegando un’efficacia aggravante al dinamismo lesivo”.
In particolare il Tribunale di Vicenza ha accertato che la morte era stata conseguente al progressivo schiacciamento della cassa toracica del dipendente provocato da una pesante vasca d’acciaio, evento che avrebbe potuto essere impedito se il lavoratore non fosse stato lasciato da solo senza nessuno a cui chiedere aiuto, tanto più che il giovane era stato sottoposto a turni di lavoro troppo ravvicinati. Di conseguenza il Giudice del Lavoro ha condannato al datore di lavoro un concorso di colpa pari al 75%.
Inoltre, il Tribunale ha accertato che, come pure chiesto dai ricorrenti, non erano riscontrabili i requisiti per un valido contratto di lavoro di apprendistato, non essendo tra l’altro stato rispettato l’obbligo formativo, ed ha quindi riconosciuto le differenze retributive rispetto al livello di operaio: ed è questa domanda di natura tipicamente iuslavoristica che ha determinato l’attrazione innanzi al Tribunale del Lavoro anche della causa per danni diretti subiti dai congiunti dello sfortunato lavoratore.
In definitiva, i famigliari ricorrenti (genitori, fratello e nonne, anche se non conviventi) hanno ottenuto il risarcimento dei danni morali/non patrimoniali subiti che è stato liquidato in complessivi euro 517.500,00 nonchè ulteriori euro 6.786,00 per differenze retributive ed il rimborso delle spese di lite.