Sentenza 19 novembre 1991 – Francovich e altri c. Italia
Datore di lavoro insolvente? Oltre al TFR, sono garantite le mensilità arretrate, ma solo le ultime tre.
Con questa famosa sentenza per la prima volta uno Stato è stato condannato al risarcimento del danno subito dai cittadini per la mancata attuazione di una direttiva europea: di conseguenza lo stato italiano è stato costretto a recepire senza ritardo la Direttiva n. 80/987/CEE e lo ha fatto con il dlgs 80/1992
Con diversi gruppi di lavoratori a fine anni 80 abbiamo instaurato giudizi contro lo Stato Italiano innanzi alle varie Preture della provincia di Vicenza (circondari del tribunale del capoluogo e di Bassano del Grappa), per ottenere le garanzie previste dalla Direttiva n. 80/987/CEE o in subordine il risarcimento del danno per non essersi adeguato alla stessa. Le Preture di Vicenza e di Bassano d. G. hanno accolto la ns. richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte Europea di Giustizia ex art. 177 Trattato CEE affinché venisse fornita la corretta interpretazione da dare alla Direttiva e all’art. 189 Trattato CEE.
Il ricorso si è concluso nel 1991 con una sentenza di condanna dello Stato italiano, ed è stato grazie a questo causa proposta e vinta avanti la Corte Europea di Giustizia che lo Stato italiano ha dato finalmente attuazione alla Direttiva n. 80/987/CEE mediante il dlgs 80/1992 il quale prevede un fondo di garanzia da cui i lavoratori subordinati possono ottenere il pagamento delle retribuzioni arretrate in caso di insolvenza del datore di lavoro.
Certo, la nuova normativa italiana non è andata oltre la previsione minima contemplata dalla Direttiva europea (ultime 3 mensilità per un massimo di ca. € 2.000,00 netti), ma il segnale dato dalla sentenza della Corte è stato forte: “uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni derivanti ai cittadini dalla mancata attuazione di una direttiva” riconoscendo la legittimazione del singolo ad agire nei confronti dello Stato che abbia violato il diritto comunitario, sia pure a certe precise condizioni: che il contenuto del diritto sia individuato in modo sufficientemente preciso dalle disposizioni della Direttiva e vi sia un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi.