Tribunale di Genova n. 744/2022, pubblicata il 02/12/2022

È illegittimo il licenziamento motivato dal mancato superamento della prova se il recesso è stato intimato oltre il termine massimo fissato dalla contrattazione collettiva. Ma in quali casi il lavoratore ha diritto ad una riduzione del periodo di prova? E se il contratto individuale prevede una durata superiore? Secondo quali criteri generali va conteggiato il periodo di prova e quali eventi lo “sospendono”?

Alla luce delle prove fornite, il Giudice ha dichiarato che il dipendente assistito dallo Studio aveva diritto al dimezzamento del periodo di prova previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro ed ha comunque ribadito che, nel caso di specie, i giorni di riposo settimanale non sospendono il decorso della prova.

 

L’azienda aveva intimato al lavoratore il licenziamento per mancato superamento della prova (c.d. licenziamento ad nutum), a suo dire, entro il termine semestrale pattuito con la lettera di assunzione e prescritto dalla contrattazione collettiva. Il lavoratore però riteneva di aver diritto alla riduzione del periodo di prova di cui all’art. 20, CCNL Ceramica Industria, il quale stabilisce che tale periodo “è ridotto alla metà […] per gli impiegati commerciali che, con analoghe mansioni, abbiano prestato servizio per almeno un quinquennio presso altre aziende che esercitino la stessa attività”. Nello specifico, il termine massimo per la prova avrebbe dovuto essere pari a 3 mesi.

Non solo. Il ricorrente infatti osservava che, anche volendolo considerare pari a 6 mesi, il licenziamento era stato comunque intimato quando il termine era già scaduto. Ciò in quanto la ex datrice aveva male interpretato la locuzione “effettivo servizio prestato” (impiegata dall’art 20 cit. con riferimento alla durata della prova), di conseguenza sbagliando nel conteggio dei giorni.

Esaminata la documentazione prodotta dal ricorrente ed udite le dichiarazioni testimoniali, il Tribunale ha ravvisato tutti gli elementi per il dimezzamento del patto di prova prevista dalla norma collettiva, con sostituzione di diritto, ex art. 2077, comma 2, c.c., della clausola difforme (e più sfavorevole) contenuta nel contratto individuale di lavoro. Il Giudice pertanto ha accertato che il recesso era stato intimato ben oltre il termine trimestrale, e cioè quando il rapporto era ormai divenuto definitivo ai sensi dell’art. 2096, comma 4, c.c., dichiarando l’illegittimità del licenziamento e condannando la società al pagamento dell’indennità risarcitoria.

Con la medesima sentenza, inoltre, il Tribunale ha censurato il computo del periodo di prova proposto dall’azienda – per la quale i giorni di riposo settimanale (sabati e domeniche) avrebbero dovuto sospenderne il decorso – ed ha ribadito l’orientamento già espresso dalla Corte di Cassazione: quando la contrattazione collettiva rapporta il periodo di prova ad una determinata unità di tempo (nel caso di specie, a “mesi”) vanno computati nel periodo stesso, e non ne sospendono la decorrenza, i giorni di mancato lavoro per ragioni rientranti nel normale svolgimento del rapporto, in quanto tali conosciute a priori, come appunto le festività ed i riposi settimanali (v. tra le altre Cass. n. 40404/2021).

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